FotografArte - Enrica Noceto

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Riccardo Zelatore

Recensioni

Presenze attive - Lugano, spazio arte contemporanea UBS (settembre 2013 - gennaio 2014)


Ogni mostra è un poco una prevaricazione portata al lavoro dell’artista, poiché sottrae da un corpo assai folto di opere un moderato tratto di esperienze, che non sempre è facile motivare rispetto al tutto da cui è isolato. Voglio dire che dietro a ognuna delle opere scelte da Enrica Noceto per la presente occasione espositiva si cela una cospicua serie di lavori, un impegno rigoroso e costante, multiforme e plurale, che l’artista savonese rinnova quotidianamente. La mostra costituisce pertanto una sorta di esaltazione e tradimento contestuale della creazione artistica, pur indispensabile per iniziare a comprendere il lavoro che è oggetto della stessa. Allora che cosa ci restituisce questa mostra? Intanto, il senso della presenza. Gestuale e oggettuale insieme, anche concettuale, l’opera di Enrica Noceto di fatto comunica un atto. E non è cosa trascurabile. Già in una precedente occasione avevo sottolineato come il movente dell’artista fosse la sensibilizzazione dello spazio vuoto, inteso come momento dinamico della luce. Luce e colore si legano a una presenza della materia consistente, fisica, fatta di metallo, materiale plastico, legno (non sempre compresenti), tela e acrilico. Torcere la tela, non più utilizzata come semplice supporto pittorico ma fatta scultura, altro non è che concretizzare l’assorbimento della luce, variato però dalle articolazioni curvilinee, dai nodi, dalle pieghe, estroflesse e introflesse, cui il tessuto è sottoposto. Una materia che distende il proprio spessore con un procedimento che rallenta e trasforma il senso temporale. Luce che non incanta solamente, ma riporta a quelle oscurità rivelatrici che anche della pittura fanno parte e che, in queste parabole (che rappresentano l’ultimo ciclo della ricerca di Noceto), fanno sentire il loro desiderio di essere protagoniste. Ne risulta una superficie che conserva della pittura la presenza del colore, densa di suggestioni e vibrazioni, intesa come porzione concreta in cui gli accidenti visivi qualificano la fisicità del lavoro. Non c’è, come anticipato, messa in bando del colore, pur sovente prossimo alla monocromia, che piuttosto è analizzato nel suo valore oggettuale, di tinta, di pigmento. A determinare l’animazione dell’epidermide sono irritazioni, pieghe, onde, intrecci, che abbandonano l’ordine piano, indicano zone e andamenti, compongono ventagli e velature, rafforzano il concetto di una forte presenza dominante.
Grandi tondi che ci assorbono e trattengono con il loro essere primari, la loro intensità e la loro concentrazione di energia. Cambia, rispetto a precedenti esperienze, l’influenza dell’opera sia nel rapporto fenomenico con lo spazio (inteso anche come ambiente), sia nella sua proposizione concettuale. Anche se la componente tecnica e l’emotività del gesto mantengono la medesima sostanza, lo spazio circolare, a parabola, tenta ed è una nuova forma, evoluzione dei ritmi a cui eravamo abituati. Il divenire di questi tondi assume connotati particolari che oscillano tra una mobilità attraente e misteriosa e una percezione del tempo sospesa tra immobilità e accadimento.
Ma c’è dell’altro. I tondi (in quanto supporto materiale), a un più approfondito esame, rivelano la loro reale origine: sono parabole televisive che l’artista ha consapevolmente e volutamente cercato e scelto come referente per questi lavori. Non si tratta solamente di un elementare approdo formale di minimalistica ascendenza, quanto frutto di elaborate proiezioni geometriche e immaginative. Direi anche metaforiche. Siamo semmai all’opposto della Minimal Art, poiché Noceto si apre spontaneamente a quella emotività e divagazione concettuale che sempre va alla ricerca di un lato ricettivo e inafferrabile in ogni cosa. E qui dà prova di quella sottile vena di poesia, ironia e spiritualità che la distingue, poiché una forma classica della comunicazione tecnologica odierna si fa metafora di un desiderio o urgenza del dire: si fa linguaggio. La forma delimita la consistenza fisica dell’opera ma, al contempo, è campo di attrazione e di stimolo poetico. Noceto parte da un oggetto concreto, anche architettonico, e interviene con l’immaginazione modificandone il senso. Anche gli stessi titoli delle opere, tratti dai Vangeli, cui si affida un ruolo non secondario all’interno del lavoro, concorrono a evocare l’interesse profondo di un artista contemporaneo per il problema della comunicazione, che arriva dalla tradizione antica, ancorché religiosa (la parabola appunto, che in Wikipedia così è definita: “un racconto breve il cui scopo è spiegare un concetto difficile con uno più semplice o dare un insegnamento morale”. E ancora “… lo specifico del genere parabola è che introduce un esempio che vuole illuminare la realtà specificata, con un unico punto di contatto tra l'immagine e la realtà”. Meditare, dico io, meditare!). Ora, non mancano le insidie: la eccessiva teorizzazione progettuale, l’inganno decorativo o lo slittamento baroccheggiante, sono sempre in agguato. In un mondo in cui la comunicazione è tambureggiante, articolata e proteiforme, saggio sarebbe puntare alla semplicità. Ma Noceto ne è consapevole e per lei ciò che conta sono ancora pittura e struttura: la prima come valore sensibile che si concede alla percezione, la seconda come modello concettuale. L’esperienza scultorea delle parabole, non ha naturalmente interrotto il lavoro plurimo sulla ceramica, sulla pittura, sulla fotografia, sull’installazione, che anzi si sono reciprocamente arricchiti. La ricerca espressiva, per l’artista savonese, è sempre diretta verso quanto non può essere contenuto e solamente indicato dalla forma o dal mezzo utilizzato, che restano i supporti sui quali le idee e le emozioni si depositano e si sovrappongono in un incessante lavoro, assiduo e amato.

Riccardo Zelatore

     

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